Economia Italiana, Eventi di Mercato, Investimenti

Vicenza e Montebelluna: banche, chi si è davvero salvato?

Venerdì 23 giugno: la BCE sancisce il fallimento tecnico delle banche ormai sotto scacco: Veneto e Popolare di Vicenza.

Lo scenario offre due opzioni: bail-in o burden-sharing. Il primo azzererebbe tutti (obbligazionisti over-all, azionisti, correntisti oltre i 100000 euro). Il secondo consente mediante l’apporto di denaro pubblico e privato un parziale salvataggio di senior bond e conti correnti. Il consiglio di Risoluzione Bancaria europeo affida allo Stato italiano la gestione del fallimento.

Sabato 24 giugno: il Governo tratta con Banca Intesa una forma di cessione, così da limitare i danni.

In settimana Banca Intesa San Paolo aveva offerto precisi constraint per l’acquisto degli asset buoni delle banche Venete:

  • nessun impatto ribassista sui dividendi Intesa
  • nessun impatto ribassista sugli indici patrimoniali
  • nessun aumento di capitale
  • nessun accollamento di debiti pregressi
  • offerta di un euro per l’acquisto.

In questo scenario il Governo preso atto di tutto questo, potrebbe o decretare il fallimento regolarmente o accollarsi le spese inevitabili per la chiusura (a meno di azionisti e subordinati) e cedere ad Intesa la parte sana della Banca.

Domenica 25 giugno: il consiglio dei ministri sancisce fallimento, cessione ad Intesa e dettagli dell’operazione

Standard&Poor’s rapidamente fornisce il suo contributo benedicendo l’intervento di Banca Intesa che salva sia i risparmiatori che il sistema.

Per Intesa sembra un affare, perchè al costo di un solo euro andrebbe a rilevare una quota di mercato sana, con il solo onere della gestione (fitti, stipendi, spese ordinarie parzialmente spesati dallo Stato nella prima fase) e debiti non critici, ma con l’opportunità di ottenere nuovi clienti. Questi costi verrebbero ammortizzati in due anni con vari interventi, quali: tagli al personale, chiusura delle filiali ed altri tagli di minor rilievo. Di fatto è un affare.

Perchè nessuno allora avrebbe voluto fare questo affare, Unicredit in primis? Ipotizziamo perchè servirà anticipare delle spese di gestione, quindi si tratta di investire su un mercato. Inoltre, senza tagli l’affare sarebbe molto meno appetibile. Unicredit è reduce da poco di un importante aumento di capitale.

Ed i debiti? Ci pensa lo Stato italiano, quindi i contribuenti italiani.

Tutto questo non va in conflitto con i principi europei che i contribuenti non avrebbero più dovuto sostenere spese per aiuti di Stato (soprattutto per aziende non sistemiche)? Si.

Da un lato però bisogna sempre guardare agli interessi più generali del sistema Italia e le conseguenze di un fallimento di due banche dell’area più industrializzata del Paese (con conseguenti perdite di posti di lavoro che comunque seppur controllati ci saranno), necessità di attingere al fondo di risoluzione bancario, la cui ricostruzione rappresenterebbe un costo da sostenere etc…

D’altro canto bisogna bacchettare chi solo 3 anni fa rifiutava gli aiuti europei alle Banche italiane (a differenza di Spagna, Germania etc…). La mancanza di identificazione di un colpevole dei fallimenti (le banche Venete sono soltanto la punta di un iceberg di questa situazione) che paghi il conto e venga fermato per tempo in questa dilapidazione. E’ questo il problema vero!

Da non trascurare la storica lotta nord-sud.

Il Banco di Napoli è stata la prima Banca italiana a fallire e l’aria respirata all’epoca era ben diversa, c’era un’accusa verso il sud per la gestione poco oculata. Oggi questo tipo di accuse verso le gestioni Venete non si sono sentite…

La Banca Popolare di Bari solo 2-3 anni fa perfezionava il salvataggio di una banca sull’orlo del fallimento (Tercas). Il costo non è stato zero, è servito un aumento di capitale i cui costi ancora gravano sul bilancio. Ma  nonostante tutto questi costi non hanno affossato la Banca che quest’anno è addirittura ritornata all’utile.

Il problema pertanto non è solo legato ai singoli casi, è un problema più generale legato all’incapacità politica italiana. Incapacità manageriale che si traduce in clientelismi e guerre tra poveri tra nord e sud, che offrono il fianco alla conquista dell’Italia da parte di Germania ed Europa (finita l’acquisizione della Grecia, se non cambiano le cose, gli zero virgola sul PIL sono parva materia, toccherà all’Italia).

E’ il momento per l’Italia di maturare e tradurre tutto questo in crescita, togliere gli alibi, tagliare i rami secchi, ridare spinta al sud. Puntare tutto su un nord che ha dimostrato molti limiti è una limitazione che non possiamo permetterci! Tagli veri alle tasse, incentivi veri alle imprese ancora non si sono visti. La tecnica di tagliare i costi da un lato e reintrodurli dall’altro ormai è indegna per un Paese civile. In questi anni non si è visto molto sforzo, l’attrazione dei capitali è una cosa seria ed occorre guadagnare la fiducia degli investitori per perfezionarla, attrarre per poi “fregarli” è perdente! Ma oggi ancora si ragiona così…

Un approfondimento è disponibile al link che segue sulle testate Yahoo finanza e Trend Online.

 

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Economia Globale, Euro, Eventi di Mercato, sterlina

Effetti del post-brexit

Chi era riuscito a prevedere che cosa sarebbe successo ai mercati nel post-brexit a valle della vittoria del leave?

N E S S U N O

 

Il post-brexit come si poteva facilmente prevedere non è stato affatto scontato

Le previsioni macro erano facili da individuare:

  • svalutazione della sterlina (ma senza nessun crollo, ad oggi nei confronti dell’euro ha perso il 14%, mentre nei confronti del dollaro ha perso il 16%)
  • crescita dei prezzi dell’oro ed in generale di tutti i prodotti considerati beni rifugio

Dalle previsioni della vigilia, in caso di vittoria dei leave il post-brexit avrebbe dovuto essere caratterizzato da un crollo verticale dell’economia inglese e da una caduta delle borse mondiali.

Lo scenario si è rivelato meno apocalittico di quello che potesse sembrare e soprattutto è opportuno analizzare quali sono i fattori che sono stati legati alla vittoria dei leave nel post-brexit e quali a fattori esterni.

Come ben sappiamo una delle peggiori borse mondiali è stata quella di Milano che in un solo giorno ha perso oltre il 12%: effetto panico. Ma perchè Milano e non Londra?

Sullo sfondo dell’Europa disunita c’è la spada di Damocle degli NPL, in auge da circa sei mesi ed al quale partendo da Atlante (insufficiente) si sta cercando di dare una risposta. Ma l’argomento è di difficile trattazione in quanto le nuove regole sul bail-in potrebbero condannare le banche che dovessero nominarlo! Infatti, appena un istituto di credito tenta di lanciare un grido di aiuto interviene la BCE per condannarlo, il mercato a svalutarlo (da inizio 2016 il crollo medio delle banche europee è stato intorno al 30%, per quelle italiane del 50% etc…).

Infatti con questo nuovo strumento di gestione delle crisi bancarie, a differenza di prima lo Stato può intervenire se e solo se azionisti, correntisti ed obbligazionisti abbiano perso i loro soldi!

Quali sono le banche che necessitano di aiuto? Quelle italiane: MPS, Popolare Vicenza, Veneto banca, etc… cariche di NPL!

E le tedesche? Deutsche bank è tra le banche al mondo con il maggior numero di derivati che finchè non scadono il loro valore a bilancio può essere ancora considerato elevato.

Ed invece NPL Deutsche bank non ne ha molti? No, tranquilli, la signora Merkel prima di introdurre le nuove regole sul bail-in aveva ripianato i debiti non performanti delle sue banche con soldi dei contribuenti, leggi aiuti di Stato…

Ma oggi non si può più fare, l’operazione era valida fino al 2015!

Ecco perchè le banche italiane sono quelle che perdono di più sul mercato, altro che effetto post-brexit!

Ma l’effetto post-brexit può essere un’opportunità per dichiarare una situazione di crisi, indi andare in deroga, occasione colta da Renzi, peccato che in Europa non tutti la vedano allo stesso modo, oggi il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem non reputa la crisi acuta: -50% con punte del 70% non è crisi acuta è molto di più!

Ritornando agli effetti post-brexit sugli altri mercati che cosa si evince?

  • S&P in crescita
  • mercati emergenti in crescita
  • obbligazioni in crescita (soprattutto inglesi, tedesche ed americane)
  • FTSE100 di Londra in risalita
  • corsa delle capitali europee a fare acquisti a Londra per contendersi il suo tesoro
  • fondi internazionali in crescita (sia azionari che obbligazionari)

Certo, non sono solo rose luccicanti quelle che si vedono, ci sono anche grossi rallentamenti oltre quelli elencati e preannunciati, si veda il blocco delle vendite dei fondi immobiliari inglesi o la perdita della tripla A per la Gran Bretagna.

Il rischio di una caduta verticale del mercato immobiliare inglese, nella fattispecie londinese è elevato, ma un ‘opportuna gestione della crisi potrebbe avere effetti ben meno pericolosi, a patto di non speculare come fa la Germania nel tentativo di imporre ulteriormente la propria linea all’Europa ed approfittare dell’attesa di Londra

 

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