Banche, Senza categoria

Carta di credito gratuita: esiste davvero?

Carta di credito gratuita: esiste davvero?

Nei giorni attuali uno strumento è diventato indispensabile per qualsiasi forma di acquisto: la carta di credito. Tutte le attività ormai si sono adattate a questo nuovo modo di fare shopping online.

Questo servizio è diventato ampiamente richiesto e viene, ormai, offerto da tutte le banche. Avere l’accesso a un credito mensile permette ai clienti di poter effettuare acquisti online, pagare bollette e prelevare dei contanti.

Questo mondo, purtroppo, è ancora ignoto dalla maggior parte delle persone. Non tutti sanno i parametri e costi di questo utilissimo strumento che è entrato a far parte delle nostre vite quotidiane.

Ci sono alcune differenze tra tutte le scelte che il mercato offre e in questo articolo cercheremo di far luce sui punti principali:

Carta di credito: come ottenerla?

Questo è il passaggio più semplice. Per richiederla basta rivolgersi ad una banca; ognuna avrà delle determinate caratteristiche che variano da caso a caso.

Per semplificare ancora di più le nostre vite, esistono banche totalmente online che offrono questo servizio a zero spese.

L’unica cosa che le accumuna è che tutte le carte di credito (tranne che le prepagate) sono collegate al conto corrente del cliente che la possiede.

Carta di credito gratuita: esiste davvero?

Si, ci sono molte banche (principalmente quelle online) che mettono a disposizione ai propri clienti carte di credito gratuite, ovvero, senza il canone annuale. Questo tipo di servizio viene offerto con un tetto massimo leggermente più basso a rispetto alle carte a pagamento però non mancano modi per poter richiedere l’estensione del credito.

Prendiamo per esempio la carta di credito Barclaycard Classica: è totalmente gratuita, non prevede costi di commissione sugli acquisti, stazioni di servizio e pedaggio.

Le carte di credito revolving

Esiste sul mercato un tipo speciale di carta detta Revolving. Essa implica un prestito da parte dell’istituto di credito al cliente, che userà i soldi ricevuti e che successivamente si impegnerà a restituire tramite rate nei mesi successivi. Ovviamente le rate saranno gravate da interessi passivi.

Un esempio è la carta di credito Revolut che lavora con 150 valute estere differenti e le commissioni sono applicate solo per importi superiori a 6 mila euro. La nota positiva è che non prevede il pagamento di nessun canone annuale.

Per sapere maggiori informazioni, sul sito di PrestitoQui c’è un articolo molto interessante che farà chiarezza su tutto il mondo delle carte di credito gratuite.

Ci sono costi aggiuntivi per la carta di credito?

Ci possono essere a seconda della banca e dal contratto firmato. Di solito i costi riguardano il prelievo in contanti agli ATM (ecco perché è preferibile usare il bancomat per queste operazioni, dato i costi più bassi).

Per alcune carte è previsto un tasso di interesse maggiore per i prelievi all’estero e anche delle commissioni per il tasso di cambio.

Si può avere una carta di credito gratuita senza conto corrente?

No. Ma una valida alternativa è la carta prepagata, che è fondamentalmente una ricaricabile elettronica.

Di solito sono gratuite e non vengono collegate a nessun conto. Il suo funzionamento è semplice: una volta richiesta e attivata basta versare la quantità di denaro voluta al suo interno e usarla nel tempo per vari pagamenti. Quando il credito finisce, può essere ricaricato.

Questa soluzione è ampiamente consigliata per gli acquisti all’estero e per i pagamenti sul web, in quanto fornisce un’ulteriore protezione; la quantità massima di frode potrà essere al massimo pari alla disponibilità giacente.

È sicuro usare la carta di credito online?

Anche se i vantaggi delle prepagate sono tanti, la carta di credito può assolvere ad ogni necessità relativa allo shopping online.

La sicurezza negli acquisti viene data da tre dati unici: data di scadenza, numero a 16 cifre stampato davanti e CVV (numero inciso sul retro). Questi tre fattori combinati assieme garantiscono un utilizzo sicuro della carta purché se inseriti in siti verificati.

Per di più, alcune carte hanno ulteriori metodi di protezione come, per esempio, l’aggiunta di un sistema addizionale di sicurezza. Di solito attivi per i circuiti MasterCard SecureCode o Verified by Visa, in questi casi oltre a digitare i tre elementi citati sopra all’user verrà richiesta l’aggiunta di una password temporanea a 8 cifre (detta OTP), generata casualmente dal sistema.

Alcune banche inoltre permettono di creare una password personalizzata che verrà richiesta ogni volta che un acquisto è effettuato, per confermare l’identità e garantire la sicurezza online dei possessori di carte di credito.

Articolo redatto da Barbara della società PrestitoQui.

Altri link sull’articolo li trovi sul social network della finanza Gooruf e sul blog BuyMarket.

Per ulteriori dettagli contattaci cliccando qui.

Questo scritto è redatto a solo scopo informativo. Può essere modificato in qualsiasi momento. NON può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio. Il sito web non garantisce la correttezza e non si assume la responsabilità in merito all’uso delle informazioni ivi riportate.

Economia Italiana, Eventi di Mercato, Investimenti

Vicenza e Montebelluna: banche, chi si è davvero salvato?

Venerdì 23 giugno: la BCE sancisce il fallimento tecnico delle banche ormai sotto scacco: Veneto e Popolare di Vicenza.

Lo scenario offre due opzioni: bail-in o burden-sharing. Il primo azzererebbe tutti (obbligazionisti over-all, azionisti, correntisti oltre i 100000 euro). Il secondo consente mediante l’apporto di denaro pubblico e privato un parziale salvataggio di senior bond e conti correnti. Il consiglio di Risoluzione Bancaria europeo affida allo Stato italiano la gestione del fallimento.

Sabato 24 giugno: il Governo tratta con Banca Intesa una forma di cessione, così da limitare i danni.

In settimana Banca Intesa San Paolo aveva offerto precisi constraint per l’acquisto degli asset buoni delle banche Venete:

  • nessun impatto ribassista sui dividendi Intesa
  • nessun impatto ribassista sugli indici patrimoniali
  • nessun aumento di capitale
  • nessun accollamento di debiti pregressi
  • offerta di un euro per l’acquisto.

In questo scenario il Governo preso atto di tutto questo, potrebbe o decretare il fallimento regolarmente o accollarsi le spese inevitabili per la chiusura (a meno di azionisti e subordinati) e cedere ad Intesa la parte sana della Banca.

Domenica 25 giugno: il consiglio dei ministri sancisce fallimento, cessione ad Intesa e dettagli dell’operazione

Standard&Poor’s rapidamente fornisce il suo contributo benedicendo l’intervento di Banca Intesa che salva sia i risparmiatori che il sistema.

Per Intesa sembra un affare, perchè al costo di un solo euro andrebbe a rilevare una quota di mercato sana, con il solo onere della gestione (fitti, stipendi, spese ordinarie parzialmente spesati dallo Stato nella prima fase) e debiti non critici, ma con l’opportunità di ottenere nuovi clienti. Questi costi verrebbero ammortizzati in due anni con vari interventi, quali: tagli al personale, chiusura delle filiali ed altri tagli di minor rilievo. Di fatto è un affare.

Perchè nessuno allora avrebbe voluto fare questo affare, Unicredit in primis? Ipotizziamo perchè servirà anticipare delle spese di gestione, quindi si tratta di investire su un mercato. Inoltre, senza tagli l’affare sarebbe molto meno appetibile. Unicredit è reduce da poco di un importante aumento di capitale.

Ed i debiti? Ci pensa lo Stato italiano, quindi i contribuenti italiani.

Tutto questo non va in conflitto con i principi europei che i contribuenti non avrebbero più dovuto sostenere spese per aiuti di Stato (soprattutto per aziende non sistemiche)? Si.

Da un lato però bisogna sempre guardare agli interessi più generali del sistema Italia e le conseguenze di un fallimento di due banche dell’area più industrializzata del Paese (con conseguenti perdite di posti di lavoro che comunque seppur controllati ci saranno), necessità di attingere al fondo di risoluzione bancario, la cui ricostruzione rappresenterebbe un costo da sostenere etc…

D’altro canto bisogna bacchettare chi solo 3 anni fa rifiutava gli aiuti europei alle Banche italiane (a differenza di Spagna, Germania etc…). La mancanza di identificazione di un colpevole dei fallimenti (le banche Venete sono soltanto la punta di un iceberg di questa situazione) che paghi il conto e venga fermato per tempo in questa dilapidazione. E’ questo il problema vero!

Da non trascurare la storica lotta nord-sud.

Il Banco di Napoli è stata la prima Banca italiana a fallire e l’aria respirata all’epoca era ben diversa, c’era un’accusa verso il sud per la gestione poco oculata. Oggi questo tipo di accuse verso le gestioni Venete non si sono sentite…

La Banca Popolare di Bari solo 2-3 anni fa perfezionava il salvataggio di una banca sull’orlo del fallimento (Tercas). Il costo non è stato zero, è servito un aumento di capitale i cui costi ancora gravano sul bilancio. Ma  nonostante tutto questi costi non hanno affossato la Banca che quest’anno è addirittura ritornata all’utile.

Il problema pertanto non è solo legato ai singoli casi, è un problema più generale legato all’incapacità politica italiana. Incapacità manageriale che si traduce in clientelismi e guerre tra poveri tra nord e sud, che offrono il fianco alla conquista dell’Italia da parte di Germania ed Europa (finita l’acquisizione della Grecia, se non cambiano le cose, gli zero virgola sul PIL sono parva materia, toccherà all’Italia).

E’ il momento per l’Italia di maturare e tradurre tutto questo in crescita, togliere gli alibi, tagliare i rami secchi, ridare spinta al sud. Puntare tutto su un nord che ha dimostrato molti limiti è una limitazione che non possiamo permetterci! Tagli veri alle tasse, incentivi veri alle imprese ancora non si sono visti. La tecnica di tagliare i costi da un lato e reintrodurli dall’altro ormai è indegna per un Paese civile. In questi anni non si è visto molto sforzo, l’attrazione dei capitali è una cosa seria ed occorre guadagnare la fiducia degli investitori per perfezionarla, attrarre per poi “fregarli” è perdente! Ma oggi ancora si ragiona così…

Un approfondimento è disponibile al link che segue sulle testate Yahoo finanza e Trend Online.

 

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DBRS
Economia Globale, Economia Italiana, Eventi di Mercato

DBRS cambia davvero il caso Italia declassando il rating ?

DBRS come da aspettative di mercato provvede al declassamento del rating dell’ Italia da A- a BBB+.

E’ una notizia davvero eclatante?

Direi di NO.

Perchè?

DBRS è un’agenzia di rating canadese non molto nota come le altre, l’unico suo punto di fama è la considerazione da parte della BCE.

Inoltre, DBRS era l’unica agenzia che ancora aveva una valutazione del rating dell’ Italia elevata (fascia A). Le altre agenzie avevano dato questa valutazione già nelle annate 2011-2013. Oggi siamo nel 2017!

Impatti?

Mediaticamente un declassamento non è una notizia positiva, diverso è l’aspetto pratico.

Praticamente l’unico impatto reale sta sulle garanzie richieste dalla BCE ai detentori di titoli di Stato italiani.

Chi chiede liquidità alla BCE fornisce a garanzia i titoli di Stato italiani, se prima la BCE si accontentava di x euro di titoli a garanzia, oggi richiederà y>x.

Chi è impattato?

I detentori dei titoli di Stato sono disseminati in tutto il mondo, molti in Italia, le banche.

Loro sono le uniche che potenzialmente potrebbero chiedere liquidità alla BCE. Dai dati recenti le richieste di liquidità sono irrisorie. Tenuto conto che hanno in portafoglio anche altri titoli da fornire a garanzia, non vedo alcun tipo di grande pericolo per le banche italiane rispetto ad oggi.

Il rendimento dei titoli di Stato italiano indirettamente potrebbe risentirne SE e SOLO SE chi li ha acquistati avesse in mente di utilizzarli per usarli come garanzia per la BCE. Naturalmente un rischio è costituito solo ed unicamente dall’effetto mediatico o da immotivate paure.

Nella realtà quello che conta è lo stato reale dell’economia italiana. Sicuramente non sta crescendo in maniera vorticosa, ma lentamente si sta muovendo in salita piuttosto che in discesa come pochi anni fa.

Certo, è necessaria una ulteriore presa di coscienza che la politica colga le osservazioni (non nuove) di DBRS per evitare pantani e superare i problemi che ci attanagliano da anni.

 

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Monte dei Paschi di Siena
Economia Globale, Economia Italiana, Investimenti

Caso Monte dei Paschi di Siena since 1472

La fama della banca Monte dei Paschi di Siena negli ultimi anni non è stata legata alla sua storia nobile.

Uno dei primi istituti bancari del mondo rischia il default a causa dei conti fuori controllo.

La scorsa settimana il rapido (quanto mai incomprensibile) tentato aumento di capitale  per la banca Monte dei Paschi di Siena.
Erano attesi 5 miliardi di euro (come da richieste BCE di novembre) si è fermato a 2,44 miliardi.
Di fretta e furia il Governo dopo mesi di stasi, ha ricevuto l’ok dalla Commissione europea (perchè solo ora?).
Deliberati aiuti alle banche a carico dei contribuenti italiani pari a 20 miliardi.

La BCE solo oggi ha evidenziato la necessità di ben 8,8 miliardi di euro per la banca Monte dei Paschi di Siena, alzando ulteriormente l’asticella!

Essendoci denari pubblici il conto si riesce a saldare senza troppi problemi. Chi era titolare di vecchie azioni ed obbligazioni che ad oggi sarebbero diventata carta straccia è salvo.

Ben venga l’aiuto di Stato come è successo in passato in Germania, Spagna, USA e mezza Europa, a patto che venga fatto con criterio!

In passato banca Monte dei Paschi di Siena ha usufruito di aiuti dallo Stato (già suo azionista) ed oggi potrebbe diventare di maggioranza (si stima una partecipazione intorno al 67%).

L’auspicio è che BCE, CONSOB, Governo siano attenti, affinchè non si ripeta l’ennesimo errore che potrebbe ricadere sulle spalle dei contribuenti italiani.

Perchè non ha funzionato?

Acquisizione di Antonveneta, imprese in default (causa crisi e prestiti facili, male comune a tutte le banche italiane) che hanno generato NPL, management improvvisato. Queste sono le cause del male.

Ma quali azioni sono state messe in atto per scongiurare il reiterarsi dell’errore?

Ad oggi nessuna, men che meno i responsabili del disastro sono stati puniti.

Pertanto, se nessuna azione verrà intrapresa i contribuenti avranno perso i loro soldi.

Mentre nuovi amministratori avranno arricchito le loro casse. L’agonia di una delle più antiche banche del mondo sarà stata allungata di qualche anno.

Per i contribuenti la speranza è che alleanze e mercato diano slancio al sistema. Pertanto al momento nessuna delle condizioni per il rilancio sono presenti.

Intanto i vincoli sono molti per le banche che ricevono aiuti, come dall’articolo de “IlSole24Ore”

Intanto lo spread ancora non rientra ed oscilla intorno a quota 160.

Che cosa vorrà dire?

La quiete di questi giorni potrebbe essere presagio di nuove burrasche per il 2017?

Vedremo. Dipenderà da come verrà gestita la situazione, almeno sul fronte rischio Italia. Poi vanno sommate le ben più rilevanti variabili internazionali, quali petrolio, Cina, Trump, materie prime, inflazione, populismi …

 

 

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borse 6 luglio 2015
Economia Italiana, Eventi di Mercato, Investimenti

Dopo il NO al referendum greco: Borse giù

Borse giù!

La Grecia dice NO all’austerity europea

Il significato del NO al referendum greco è ben chiaro a tutti: la Grecia respinge l’austerity europea. La trovata di Tsipras di utilizzare un referendum di una piccola minoranza di europei, ovvero i greci si rivela azzeccata, perchè ha l’effetto mediatico che si cercava.

Campanello dall’allarme per tutte le democrazie europee: i movimenti anti-euro ed anti-austerity trovano terreno fertile per le loro iniziative, benchè il messaggio di Tsipras sia ben diverso da quello di molti altri come Salvini, Podemos, Grillo, Le Pen etc…

Al di là di quelli che potranno essere gli effetti futuri, sul successo o meno di queste trovate machiavelliche del Governo di Syriza, intanto bisogna fare i conti con la realtà di breve periodo: economia, finanza e soprattutto le borse!

Borse

La borsa greca resta chiusa, ma le altre borse non stanno ad aspettare ed i risultati sono evidenti sin dai primi risultati parziali: Tokio inizia per prima a ricevere i segnali cedendo abbondantemente, a ruota a mano a mano che aprono, anche le borse europee e per finire quella statunitense (solo per citare le principali) lasciano miliardi sul terreno.

Anche il famigerato spread tende ad allargarsi, ma senza esagerare come era avvenuto la scorsa settimana.

Un’analogia poco confortante per le borse con la scorsa settimana c’è: il listino peggiore tra le principali piazze è quello di Milano: il FTSEMIB segna -4,03%.

Quasi il doppio dei cugini francesi e spagnoli, quasi il triplo di Francoforte!

Eppure i nostri politici hanno ostentato sicurezza, ma entrambe le volte che la Grecia ha urlato, Milano ha pianto e la scorsa settimana il rimbalzo tecnico non è stato tale da compensare la peggiore performance rispetto alle altre piazze.

Perchè?

La causa è difficile da stabilire, oltretutto lo spread non ha fatto segnare numeri così preoccupanti se confrontati alle altre piazze e questo potrebbe confortare.

Possibili cause?

I titoli che risentono maggiormente del surriscaldamento di questo particolare termometro sono quelli finanziari, visto che il FTSEMIB è particolarmente esposto su questo fronte, questo potrebbe aver determinato la flessione.

O potrebbe ancora, essere causato dall’essere stata tra le piazze più performanti in questo primo semestre, quindi accompagna un pò di ipercomprato?

La speranza è che il motivo non risieda in nuvole che qualcuno intravede all’orizzonte sulla solidità delle nostre banche e della nostra economia…

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euro dollaro
Euro

Le grandi contraddizioni dell’Euro

La nascita dell’Euro ha radici ideologiche oltre 50 anni fa

Il percorso che ci ha portati all’Euro è stato spesso accidentato e controverso

Le contraddizioni dell’Euro si sono evolute e mantenute anche dopo la sua recente adozione!

Quali sono le contraddizioni?

L’Europa era ed è caratterizzata da economie a diverse velocità, politiche differenti, mentalità differenti, banche centrali differenti.

Si possono evidenziare tre macro categorie: economie del Nord (Germania, Francia, Austria ed altri Paesi nordici, Irlanda esclusa) economie del Sud (Portogallo, Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Irlanda etc…), economie dell’Est (paesi dell’Est entrati nell’euro).

Le scelte condotte dagli Stati in termini di politica monetaria ed economica sono naturalmente funzionali a quelle che sono le economie delle aree interessate.

Ma che cosa succede quando ci sono differenti tipologie di economie talvolta tra loro contrastanti, che quindi necessiterebbero di scelte diverse?

Si dovrebbero adottare politiche economiche differenti (e talvolta tra loro contrastanti)

Che cosa è stato fatto dalle politiche della zona euro?

Le politiche economiche sono state orientate a fornire contributi alle regioni che avevano un’economia meno sviluppata con azioni di finanziamento.

Le politiche monetarie, essendo la moneta unica europea l’Euro non hanno potuto avere una forte differenziazione, la scelta iniziale è stata quella di rafforzare l’euro, soprattutto nei confronti della moneta statunitense.

Questo tipo di scelta non ha manifestato particolari criticità fino alla crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti (2008), benchè era noto a tutti sin dalla nascita dell’euro che molti Stati, prevalentemente quelli della macrocategoria del Sud Europa, avessero dei numeri di debito pubblico un pò troppo elevati, ma non ancora su livelli preoccupanti.

Gli Stati Uniti ed il Giappone hanno optato per un indebolimento delle loro monete al fine di avvantaggiare le imprese esportatrici dal cambio. L’Europa ha ritenuto che non fosse necessaria un’azione simile in quanto le economie degli Stati europei avrebbero utilizzato le politiche economiche accomodanti degli altri Stati per dare slancio all’economia, senza badare ai cambi.

Il risultato è stato un forte rafforzamento dell’Euro.

I segnali della crisi, sempre più evidenti e culminati nel 2011 hanno evidenziato l’impennata dei debiti pubblici a causa dei PIL sempre più risicati.

La conseguenza immediata è stata l’applicazione della famigerata politica di austerity che aveva un principio indiscutibilmente positiva che era quello di tagliare le spese inutili, il problema è stata la sua interpretazione, infatti si è tradotta soprattutto in un taglio degli investimenti, finendo per danneggiare il PIL con minimi vantaggi sul debito pubblico

Intanto le economie della zona euro più forti hanno incrementato il loro vantaggio sulle economie più deboli.

Questo vantaggio si traduce anche sull’aspetto finanziario, perchè le economie più forti riescono a finanziarsi sul mercato a tassi bassi, mentre quelle più basse vedono i loro tassi incrementarsi (spread).

In pratica la Germania ha interessi bassi, prossimi allo zero, mentre la Grecia ha tassi elevati (oltre 15%) e la Germania trae vantaggio da ciò investendo sulla Grecia, ottenendo in cambio interessi elevati, incrementando il vantaggio.

L'essenza delle contraddizioni sta proprio qui!

E’ sostenibile una situazione così contraddittoria alla lunga? Questi anni che ci separano dal 2011 hanno dimostrato di no, pertanto la scelta si è rivelata fallimentare, pertanto va cambiata.

L’unica azione diversa dal passato è stata quella di indebolire l’Euro, questo indubbiamente è una politica che favorisce le economie più deboli, ma come ha sempre detto Draghi, questo non basta da solo a risolvere la situazione, sono necessarie le riforme!

Questo non vuole dire che la politica di Tsipras condotta in questi mesi sia condivisibile, ma sicuramente le motivazioni lo sono e devono portare l’Europa a sanare queste crepe, aldilà dell’esito del referendum.

Ovviamente ognuno dovrà fare la sua parte:

– chi specula ed ha speculato deve cambiare atteggiamento se si fa parte di una stessa comunità

– chi non ha fatto le riforme necessarie deve farle

“La serietà è richiesta a tutti, ricchi e poveri, in egual misura” da Il Sole 24 Ore

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