Economia Globale, Euro, Eventi di Mercato, Indicatori, Senza categoria, sterlina

Brexit : statistiche. Un assaggio

Brexit : a pochi mesi dall’implementazione, gli operatori si stanno preparando.

La Brexit, (uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea) sancita dal referendum del 23 Giugno 2016, si materializzerà il 29 marzo 2019 alle ore 23:00. Salvo imprevisti.

Al momento gli accordi necessari alla Brexit non ci sono. Si inseguono voci contrastanti, c’è persino chi invoca un secondo referendum.

I primi sintomi della possibile Brexit si sono avuti soprattutto a Londra, capitale della finanza europea.

Gli aspetti chiave svantaggiosi in cui si manifesta la Brexit sono:

  • vendite: diventano esportazioni ed importazioni da/verso l’estero. Pertanto assoggettabili a procedure doganali ed eventuali dazi.
  • imprese: chi ha delocalizzato diventa controllata estera. Quindi non più semplici società, ma società con una disciplina fiscale più complessa e costosa.
  • le PMI perdono i vantaggi forniti dall’Unione Europea circa finanziamenti. Fiscalmente si ritroveranno a gestire i loro flussi finanziari e reddituali verso la UE come verso altri Stati Esteri con conseguenti costi.
  • le PMI costituite in Gran Bretagna potevano contare su una base normativa costituita dal Trattato con l’Unione Europea, per svolgere liberamente la loro attività in territorio europeo. Se gli accordi non dovessero contemplarlo ci sarebbe meno convenienza ad avviare PMI in Inghilterra.

Indubbiamente in un mondo globale l’appartenenza ad uno Stato non dovrebbe costituire un vincolo. Pertanto, nel caso in cui gli accordi non dovessero essere eccessivamente restrittivi, diventerebbe vantaggioso aprire società in Inghilterra. Infatti, il Regno Unito e’ un’ottima base logistica per fare export ed internazionalizzazione, facendo a meno delle eccessive limitazioni derivanti dall’appartenenza alla UE. Ma i dazi ed i sovranismi non aiutano in questo senso.

Quindi dipenderà molto dagli accordi stipulati con la UE, dal tipo di business e dal mercato target delle singole imprese.

In questi due anni trascorsi, sulla base delle notizie circolate i principali indicatori economici dell’economia inglese non hanno mostrato particolare entusiasmo. Ma neppure particolare allarmismo. Quindi fino al 2019 non ci si aspettano sconvolgimenti.

Numeri.

Il FTSE 100 dal giorno del referendum ad oggi in sterline si è apprezzato di circa il 10%. C’è da dire che la sterlina si è indebolita verso l’euro (e l’indebolimento è iniziato già mesi prima) rendendo ancor meno conveniente l’investimento per gli europei. La debolezza della sterlina però ha portato ad un’accelerazione dell’inflazione e della disoccupazione. Questo ha aiutato la politica della BOE volta a perseguire la curva di Phillips. Obiettivo ad oggi centrato, tant’è che sono iniziate le prime mosse di rialzo dei tassi. A fare un confronto con gli altri indici internazionali negli USA lo S&P è salito di oltre il 30% (in dollari USA) nello stesso periodo di tempo.

Il FTSEMIB in euro è salito di oltre il 20%. Il DAX è salito quasi del 20%, l’EUROSTOXX è salito di oltre il 10%. Il confronto con gli altri indici risulta perdente.

Stando alle statistiche dell’ONS, osserviamo:

  • il tasso di occupazione è pressocchè stabile da 50 anni. Quindi non c’è stato alcun boom del lavoro sebbene la disoccupazione sia calata (la disoccupazione può calare anche per l’emigrazione o per la non iscrizione alle liste del lavoro). Si veda il link che segue tratto dall’ONS: Dati Occupazionali Regno Unito.
  • anche il PIL ha subito alti e bassi ma non ha registrato alcuna crescita significativa. Di seguito il link con i dati ufficiali: PIL Regno Unito.
  • stesso discorso vale per la il dato sull’ Indice Produzione Regno Unito e per l’Indice dei Servizi Regno Unito.

Ulteriori approfondimenti dell’autore sul tema sono disponibili sulla testata che segue al link: Wall Street Italia.


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Questo scritto è redatto a solo scopo informativo. Può essere modificato in qualsiasi momento. NON può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio. Il sito web non garantisce la correttezza e non si assume la responsabilità in merito all’uso delle informazioni ivi riportate.

Economia Italiana, Euro, Eventi di Mercato

Chi è Giovanni Tria ministro dell’Economia?

Tria è professore ordinario di politica economica alla facoltà di economia di Tor Vergara.

Tria è nato nel 1948 ed è un economista con esperienza accademica e professionale nei settori di macroeconomia, politiche dei prezzi, politiche di sviluppo economico, valutazione di investimenti pubblici, ruolo delle istituzioni nel processo di crescita.

Tutti conosciamo l’esito delle elezioni e la convulsa creazione del governo Lega – M5S. Il punto chiave sul quale è nato lo scontro, a volte strumentale, a volte fondato, è il contratto di Governo e le relative coperture economiche.

Dai conti dell’economista Carlo Cottarelli, le entrate sono di gran lunga maggiori delle uscite. Finanziare il programma con altre spese è rischioso per il problema del debito pregresso e soprattutto per il rapporto debito/PIL tra i più alti al mondo (intorno al 132%). Si spende più di quanto entri, infatti nonostante anni di austerity, entrate elevate, avanzo primario, il debito è salito. La causa sono gli interessi. Quest’anno dovrebbero toccare il limite inferiore, ovvero 70/80 miliardi. Ma la fine del QE e l’impennata dello spread mettono a rischio il numero.

Idee del ministro Tria.

Da un’intervista del 14 maggio 2018 a Formiche.net, il neo ministro Tria ha mostrato di essere cosciente del problema. Ha evidenziato le sue preferenze. Ovvero la flat tax targata Lega-Forza Italia, ma ha evidenziato la necessità di reperire risorse per le coperture. Pertanto, ben venga un aumento dell’IVA (circa 12 miliardi risparmiati per le casse dello Stato Italiano).

Sul reddito di cittadinanza è apparso molto distante, non avendo le idee chiare su platea ed obiettivi. Ma non avverrà a breve, quindi problema rinviato. Ha sottolineato che non si può ridurre ad un dualismo tra società che produce e società che consuma.

Nella sua storia passata non ha avuto difficoltà (come del resto anche Cottarelli) ad evidenziare i problemi dell’Euro. Ma mai ha parlato di uscita dall’euro a differenza di Savona, neanche come ipotesi.

La necessità che il Governo italiano non sia passivo è per lui prioritario. E’ palese che l’Italia ha avuto difficoltà a contare in Europa negli ultimi anni, anche per la necessità di usare le forze a disposizione per negoziare i vincoli di bilancio. Tria ha sostenuto che è la Germania che dovrebbe uscire dall’euro per il suo surplus della bilancia commerciale, non compatibile con il regime di cambi fissi che vige nell’eurozona, o perlomeno accettare un passaggio ad un regime di cambi fissi aggiustabili. Tutt’altro che antieuro. Posizioni diffuse, si veda anche la posizione di Forza Italia al riguardo che è praticamente identica. Il ministro Tria è molto vicino a Renato Brunetta. Inoltre è vicino anche alla fondazione Craxi, quindi alle idee social liberali da essa promosse.

L’estrazione di Tria si avvicina molto ai neo keynesiani. Pertanto è anche lui in linea con il movimento, almeno teoricamente. La politica orientata alla crescita e alla sfida della globalizzazione piuttosto che all’austerity rientrano nelle sue corde, ma non l’assistenzialismo. Ma austerity è una parola inflazionata, forse esasperata da Monti, occorre pesare il significato dei termini prima di affrontare il discorso.

Ed il resto del Governo?

L’intero Governo sembra avere figure con background notevoli sia culturali, sia come esperienze pregresse in precedenti governi (si veda lo stesso Savona). E le posizioni di queste figure verso i toni da campagna elettorale sembrano essere molto distanti. Si veda l’intervento di ieri del Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Ha sottolineato che «siamo un paese che sta riprendendosi in pieno dopo le difficoltà della grande crisi economica, che peraltro ha toccato tutto il mondo.». Un apprezzamento di quanto fatto dai precedenti Governi, quindi non un segnale di rottura almeno nel riconoscere quanto di buono c’è stato.

Per investitori ed Europa credo che questi siano segnali importanti circa la volontà di crescere senza alcune follie sentite in campagna elettorale. Le premesse sotto alcuni aspetti ci sono per fare bene, aspettiamo e vediamo.

Tutto questo stride con il voto di ieri in euro Parlamento, bocciato dalla maggioranza, circa la possibilità di stanziare un fondo di aiuti per lasciare l’euro.

 

Ulteriori approfondimenti dell’autore sul tema sono disponibili sulla testata che segue al link: Wall Street Italia.


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dumping da www.gettyimages.com
Economia Globale, Economia Italiana, Euro

Dumping sociale in Europa?

Dumping: vendita su un mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita.

La vicenda di Embraco di questi giorni che sta cercando di spostare la produzione dall’Italia in Slovacchia per via del minor costo della manodopera, solleva la questione del dumping.

L’Unione Europea che ormai dovrebbe aver consolidato qualcosa di comune tra gli Stati, sembra non essersi ancora svegliata. Soltanto apparenze.

I confini nazionali, elementare elemento di condivisione, non hanno superato la prova del terrorismo. Molti Stati (e.g. Francia) via terra hanno introdotto dei controlli.

Neppure la moneta unica rappresenta una reale unificazione. Infatti molti Stati pur aderendo al mercato unico non l’hanno adottata. Soprattutto nei Paesi dell’Est. Il vantaggio per questi Stati è quello di avere un controllo sul cambio che ha il vantaggio di svalutare la moneta nei momenti di difficoltà. L’Italia con la lira era solita fare questa operazione, ma con l’Euro non avendo più potuto correre ai ripari ha subito la crisi in pieno e la svalutazione dell’Euro, avviata troppo tardi ha portato la perdita di molte risorse al Paese.

La minaccia per l’Italia in questo momento giunge proprio da quei Paesi dell’est che con la manodopera a basso costo sono più attraenti per le aziende.

La domanda è perchè l’Italia non lo fa?

Perchè il costo della vita in Italia è più alto, le spese per le aziende sono più alte.

Una risposta semplice sarebbe uniformare la tassazione, il costo della vita è più complesso perchè dipende da molte altre variabili.

Per unificare la tassazione occorre unificare i bilanci degli Stati, argomento caldo ed osteggiato dalla Germania per via dei debiti dell’Europa meridionale.

Perchè la Germania non riscontra le stesse difficoltà dell’Italia (difficoltà condivise anche con Spagna, Francia etc…)?

Infatti il costo del lavoro tedesco è anche più elevato, la disoccupazione al 4%, contro una media intorno al 10% di Italia, Francia e Spagna.

La qualità dei prodotti tedeschi è sicuramente un elemento di differenziazione. Ma non è solo questo. La Germania gode di un palese economic moat derivante dall’integrazione europea. Infatti, grazie all’Europa ha conquistato spazi oltre i propri confini senza eguali, Italia in primis. La gestione oculata del bilancio pubblico tedesco, ha consentito di poter investire in ricerca e sviluppo. Il costo degli investimenti ha rappresentato un’altro fattore importante, soprattutto per produzioni industriali pesanti. La ricerca che è stato il tallone d’achille degli altri Stati europei impegnati a far fronte a debiti e spese in ascesa.

L’unica mossa vista dall’Europa in questi mesi è stata quella di regolamentare l’importazione dalla Cina per contrastare la contraffazione, ma ancora a livello teorico. Sulle disparità europee nessuno ne parla, sfruttando le divisioni per scalate politiche dei palazzi del potere europeo. La campagna elettorale, a meno di piccoli espedienti (e.g. Carlo Calenda e Confindustria non candidati), non cita neppure tale problematica.

In assenza di risposte l’Europa è destinata a soccombere al cospetto di Cina ed USA.

 

Ulteriori approfondimenti sono disponibili al link Wall Street Italia.


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Schäuble
Economia Globale, Euro

Schäuble: Whatever it takes?

Schäuble dixit: “Whatever it takes”.

 

Germania con Schäuble da sempre contraria al QE in realtà è risultata tra i principali beneficiari fino a questo momento:

euro debole, toccasana per l’export;

– debito pubblico ipercontrollato in grado di liberare risorse per gli investimenti.

L’unico svantaggio è stato il basso margine per le banche. Ma le riserve e le speculazioni sui derivati in pancia alle banche tedesche, mai discussi in sede di BCE a differenza degli NPL italiani, benchè i rischi derivanti siano paragonabili se non peggiori, hanno aiutato le banche tedesche a reggere l’onda d’urto. Anche se molti scandali sono usciti (si veda Deutsche Bank) ed il rischio vendita per Commerz Bank ed il cordone di Schäuble ha retto.

Oggi esiste la UE che monitora i bilanci degli Stati, con una valenza politica rilevante, quindi discrezionalità. Questo non piace a Schäuble.

Poi esiste la BCE che agisce sui mercati. Queste due entità hanno consentito all’Europa di sopravvivere frenando la caduta che ci sarebbe stata per il fallimento di molti Stati membri, se non si fosse attivato il QE con la contropartita dei controlli dei bilanci parzialmente riuscita. Infatti, l’Italia è tra le poche nazioni che ha seguito questi dettami, rispettando i rapporti deficit/PIL, altri Stati come la Spagna hanno seguito una loro politica, evitando politicamente la penalità inflitta dalla UE, quindi traendone un vantaggio sullo sviluppo.

Un approfondimento è disponibile al link che segue sulla testata Wall Street Italia

Di seguito un altro articolo dello stesso autore sul tema:

Schäuble è figlio d’arte, nasce da un politico della vecchia CDU e ne segue la strada potenziando grazie all’unificazione tedesca le sue forze.

Prima di finire la politica da protagonista, lascia una sorta di vademecum sulle regole per gestire la nuova fase europea.

La proposta è evidentemente frutto di una mente intelligente, colta quindi interessante, ma risente del contesto storico nazista che ha contro la sua volontà dovuto attraversare.

Infatti, Schäuble ha vissuto gli anni del nazismo e la voglia di riscatto tedesca ha sempre aleggiato nelle sue idee (come in quelle di molti suoi connazionali).

Il QE oggi non aiuta più la Germania, non è detto che la danneggi, ma è contro i suoi piani.

L’opportunità sono i bilanci degli Stati iperindebitati, ma che da sempre esercitano un certo fascino per le velleità tedesche.

Molte aziende italiane ad esempio sono state acquistate da Francia e Germania in questi anni. Piccoli pezzi di un gioiello che luccica un pò meno, ma continua ad avere un cuore di diamanti.

Perchè non strutturare anche i piccoli investimenti sulla stregua di quelli sperimentati in Grecia acquistando l’intera Nazione?

Come si fa?

Semplice. Si potrebbero unire i bilanci degli Stati e diventare una cosa sola.

L’operazione avrebbe un costo elevato. I debiti dell’Europa meridionale sarebbero ingestibili anche per la Germania.

Il QE è stato un viatico, ma serve di più. L’ESM.

L’ESM una sorta di società europea con azionisti gli Stati, dovrebbe controllare e gestire i bilanci degli Stati, ma senza unirli, andando a sostituire i ministri delle Finanze di fatto. La BCE rimarrebbe a sorvegliare l’euro.

Il piano è questo ed è stato scritto, si attendono proposte dal resto dell’Europa!

Un approfondimento è disponibile al link che segue sulle testate Yahoo Finanza e TrendOnline

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euro dollaro
Dollaro, Economia Globale, Euro, Eventi di Mercato, Investimenti

Allerta dollaro in corso!?

Il dollaro è debole da inizio 2017.

Infatti il cambio euro vs dollaro da inizio anno ha subito un’impennata spaventosa.

Quasi il 20% l’apprezzamento della valuta unica europea sul dollaro
Le previsioni di inizio anno puntavano sulla parità tra euro e divisa USA
Perché è andata così?

Le cause dell’indebolimento del dollaro sono molteplici, facciamo ordine:

– forza dell’economia europea legata alla ripresa;

– economia USA non in splendida forma, seppur rialzista (eccetto il dato odierno +3% il PIL);

– sfiducia verso le azioni e soprattutto le promesse di Trump;

– rischio sforamento del tetto del debito USA;

– poca sicurezza mostrata dalla FED nei rialzi del costo del denaro (soprattutto negli ultimi due mesi) che avrebbe dovuto sortire l’effetto opposto all’indebolimento del dollaro;

– valori dell’import/export UE/USA;

– etc…

Altri mover apparentemente non collegabili:

– tensioni geopolitiche in Asia, sia in medio-oriente, sia in Corea;

– tensioni interne al partito Repubblicano di Trump.

Un approfondimento è disponibile al seguente link.

 

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dollaro
Dollaro, Economia Globale, Euro, Eventi di Mercato, Investimenti, Petrolio

Cambio dollaro : il principale market mover?

Previsioni inizio 2017 per i mercati: cambio euro contro dollaro verso la parità.

Sei mesi dopo: record di apprezzamento dell’euro sul dollaro negli ultimi due anni.

Superata quota 1.15 euro per dollaro.

Che cosa influenza le quotazioni del dollaro USA?

L’ultimo decennio è stato caratterizzato da guerre valutarie legate alle manovre ancora in corso da parte delle banche centrali di tutto il mondo.

La FED è stata tra le banche centrali più attive, operando subito dopo la crisi il taglio dei tassi ed un ingente acquisto di titoli sul mercato.

Le immediate conseguenze sono state:

  • aumento del costo dei titoli obbligazionari;
  • conseguente aumento dei prezzi sul mercato azionario;
  • deprezzamento del dollaro nei confronti delle altre valute;
  • risalita graduale dell’inflazione.

Finita questa azione che è valsa l’uscita dalla più grande crisi finanziaria, è iniziata lo scorso anno l’inversione di rotta con i primi timidi rialzi del costo del denaro USA.

Nel frattempo, per effetto di un’azione analoga da parte delle altre banche centrali, in particolare la BCE, il dollaro si è apprezzato, sfiorando la parità con l’euro.

Pertanto, da parte degli analisti è maturata la convinzione che il prosieguo di questo tipo di politica da parte della FED, avrebbe favorito un apprezzamento del dollaro.

Perchè il 2017 ha visto il verificarsi di un trend opposto alle previsioni nei primi sei mesi?

Il motivo naturalmente c’è:

  • possibile inversione di politica da parte delle altre banche centrali, indi la BCE
  • fragile ripresa del mercato USA e della sua inflazione
  • rafforzamento dell’economia europea
Che implicazioni ha questo scenario?

Le conseguenze non sono scontate e dipende dallo Stato da cui si osservano i fenomeni in corso.

L’Europa ha tratto vantaggio dalla debolezza dell’euro fino ad oggi per le aziende che esportano in USA, discorso opposto per le importazioni, quindi per i consumatori. Ma un euro forte implica aiutare le economie degli altri non la propria, indi il PIL. Le parole di Trump spesso ignorate che non volevano un euro debole perchè vantaggioso per la Germania, sembra che stiano per essere ascoltate. Ancora una volta ribadita la maggiore forza degli USA rispetto all’Europa.

Discorso duale per gli USA.

Il rischio per i mercati europei è quello di una frenata degli utili delle società quotate, con l’interruzione della crescita avviata. Tradotto praticamente possibile calo delle quotazioni del mercato azionario, in mancanza di altri driver (e.g. petrolio, inflazione, politiche BCE, etc…).

Opposto lo scenario per gli USA che potrebbero essere sostenuti ancora da questa debolezza. Pertanto, sembra una mossa studiata a tavolino quella dell’indebolimento del dollaro che potrebbe però far esplodere l’Europa e non gli USA ad oggi maggiormente sopravvalutati (23 è il rapporto prezzo utili dell’azionario USA, ad eccezione dei tecnologici con multipli ancora maggiori, 16 il rapporto per l’azionario europeo).

 

Un approfondimento è disponibile al link che segue sulle testate Yahoo finanza e Trend Online.

 

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Economia Globale, Economia Italiana, Euro

Debito pubblico Italia: e se non ci fosse stato l’Euro?

Gennaio 2002 debutta l’Euro. I dati che misurano lo stato di salute delle economie dei diversi Stati vedono la Germania vincente sull’Italia.

Debito, deficit, PIL, disoccupazione non reggono il confronto, il trend per l’Italia è negativo.

Leggi l’articolo completo su Yahoo Finanza cliccando qui.

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euro dollaro
Euro

Le grandi contraddizioni dell’Euro

La nascita dell’Euro ha radici ideologiche oltre 50 anni fa

Il percorso che ci ha portati all’Euro è stato spesso accidentato e controverso

Le contraddizioni dell’Euro si sono evolute e mantenute anche dopo la sua recente adozione!

Quali sono le contraddizioni?

L’Europa era ed è caratterizzata da economie a diverse velocità, politiche differenti, mentalità differenti, banche centrali differenti.

Si possono evidenziare tre macro categorie: economie del Nord (Germania, Francia, Austria ed altri Paesi nordici, Irlanda esclusa) economie del Sud (Portogallo, Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Irlanda etc…), economie dell’Est (paesi dell’Est entrati nell’euro).

Le scelte condotte dagli Stati in termini di politica monetaria ed economica sono naturalmente funzionali a quelle che sono le economie delle aree interessate.

Ma che cosa succede quando ci sono differenti tipologie di economie talvolta tra loro contrastanti, che quindi necessiterebbero di scelte diverse?

Si dovrebbero adottare politiche economiche differenti (e talvolta tra loro contrastanti)

Che cosa è stato fatto dalle politiche della zona euro?

Le politiche economiche sono state orientate a fornire contributi alle regioni che avevano un’economia meno sviluppata con azioni di finanziamento.

Le politiche monetarie, essendo la moneta unica europea l’Euro non hanno potuto avere una forte differenziazione, la scelta iniziale è stata quella di rafforzare l’euro, soprattutto nei confronti della moneta statunitense.

Questo tipo di scelta non ha manifestato particolari criticità fino alla crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti (2008), benchè era noto a tutti sin dalla nascita dell’euro che molti Stati, prevalentemente quelli della macrocategoria del Sud Europa, avessero dei numeri di debito pubblico un pò troppo elevati, ma non ancora su livelli preoccupanti.

Gli Stati Uniti ed il Giappone hanno optato per un indebolimento delle loro monete al fine di avvantaggiare le imprese esportatrici dal cambio. L’Europa ha ritenuto che non fosse necessaria un’azione simile in quanto le economie degli Stati europei avrebbero utilizzato le politiche economiche accomodanti degli altri Stati per dare slancio all’economia, senza badare ai cambi.

Il risultato è stato un forte rafforzamento dell’Euro.

I segnali della crisi, sempre più evidenti e culminati nel 2011 hanno evidenziato l’impennata dei debiti pubblici a causa dei PIL sempre più risicati.

La conseguenza immediata è stata l’applicazione della famigerata politica di austerity che aveva un principio indiscutibilmente positiva che era quello di tagliare le spese inutili, il problema è stata la sua interpretazione, infatti si è tradotta soprattutto in un taglio degli investimenti, finendo per danneggiare il PIL con minimi vantaggi sul debito pubblico

Intanto le economie della zona euro più forti hanno incrementato il loro vantaggio sulle economie più deboli.

Questo vantaggio si traduce anche sull’aspetto finanziario, perchè le economie più forti riescono a finanziarsi sul mercato a tassi bassi, mentre quelle più basse vedono i loro tassi incrementarsi (spread).

In pratica la Germania ha interessi bassi, prossimi allo zero, mentre la Grecia ha tassi elevati (oltre 15%) e la Germania trae vantaggio da ciò investendo sulla Grecia, ottenendo in cambio interessi elevati, incrementando il vantaggio.

L'essenza delle contraddizioni sta proprio qui!

E’ sostenibile una situazione così contraddittoria alla lunga? Questi anni che ci separano dal 2011 hanno dimostrato di no, pertanto la scelta si è rivelata fallimentare, pertanto va cambiata.

L’unica azione diversa dal passato è stata quella di indebolire l’Euro, questo indubbiamente è una politica che favorisce le economie più deboli, ma come ha sempre detto Draghi, questo non basta da solo a risolvere la situazione, sono necessarie le riforme!

Questo non vuole dire che la politica di Tsipras condotta in questi mesi sia condivisibile, ma sicuramente le motivazioni lo sono e devono portare l’Europa a sanare queste crepe, aldilà dell’esito del referendum.

Ovviamente ognuno dovrà fare la sua parte:

– chi specula ed ha speculato deve cambiare atteggiamento se si fa parte di una stessa comunità

– chi non ha fatto le riforme necessarie deve farle

“La serietà è richiesta a tutti, ricchi e poveri, in egual misura” da Il Sole 24 Ore

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valute e borse
Euro, Eventi di Mercato, Investimenti

Reazione delle borse

Borse: la reazione finalmente è arrivata: Milano +2,50

Dopo sei sedute di fila con il segno negativo e diverse settimane di cali, le borse europee reagiscono facendo segnare rialzi, spinte probabilmente dalle oscillazioni del mercato valutario.

Infatti, da aprile ad oggi si è potuto notare che le borse hanno perso terreno ed in particolar modo quelle del nord europa (vedi DAX tedesco), mentre quelle del sud (eccetto la Grecia) hanno perso meno in percentuale.

Se fosse da imputare alla sola crisi greca questo calo delle borse, chi avrebbe dovuto pagare di più sarebbero stati i mercati più vulnerabili come Italia e Spagna, ma così non è stato, forse per l’effetto benefico del QE? o forse per qualche altro fattore?

Sicuramente il QE ha aiutato tutte le borse europee, ma non giustificherebbe la difficoltà tedesca.

Una variabile inquietante è il cambio dell’euro che anzichè vedere un deprezzamento della moneta, come atteso dal QE ha visto un apprezzamento, probabilmente come rimbalzo dopo i forti rally messi a segno nei mesi precedenti.

Questa tesi trova una conferma nel fatto che i titoli quotati in borsa che hanno guidato il riscatto sono proprio quelli delle società che operano sui mercati delle materie prime scambiate in dollari, in primis quelle petrolifere che hanno recuperato parte delle difficoltà venute fuori sul finire dello scorso anno.

Questo vuol dire che la Grecia non fa più paura?

Certamente no, perchè la Grecia per il rischio che ha è stata in parte già scontata dal mercato, pertanto a meno di un eclatante default prima di fine giugno dovremmo assistere ad un pò di acquisti sui mercati azionari.

L’incognita resta invece l’obbligazionario ed il valutario:

– nel primo la flessione degli ultimi mesi deve essere interpretata, ovvero se rappresenta solo una presa di beneficio, oppure l’inizio di un raffreddamento dei prezzi, preludio del rialzo dei tassi

– nel secondo invece l’euro ancora non è abbastanza debole per consentire la ripartenza dell’inflazione.

Dall’altro fronte lo yen con la possibilità di un ulteriore iniezione di liquidità dal Giappone potrebbe dare fastidio al deprezzamento dell’euro.

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crisi
Eventi di Mercato

Alle porte della crisi…

Leggendo le principali testate finanziarie non si è certi che nonostante lo shopping di titoli da parte della BCE ci sia una ripresa quindi un’uscita dalla CRISI.

La prima accusa viene lanciata dalla stessa BCE, intimando ai Governi dell’euro zona di attuare le riforme, perchè quando fra un anno e poco più sarà terminata la “droga” dei mercati, gli stessi mercati devono camminare con le proprie gambe e senza domande ed offerte realmente sostenute i prezzi potrebbero crollare! e l’attuale crisi peggiorare!

Un’ulteriore alea di incertezza è data dal petrolio che continua a mostrare segni di debolezza le cui prospettive a mio avviso sono tutt’altro che rosee, non mi meraviglierebbe una sua ulteriore discesa in assenza di eventi particolari, visto che le scorte viaggiano su livelli prima non immaginabili!

Quindi il petrolio potrebbe essere il motore della nuova crisi,  alla pari del crack del 2008 verificatosi in maniera analoga benchè su un settore diverso da quello energetico, la dinamica è la stessa. E non solo il petrolio è in difficoltà, in sua compagnia ci sono altre materie prime, da segnalare il RAME.

Certo è che in assenza di eventi particolarmente drammatici temporaneamente i prezzi degli indici azionari e delle obbligazioni sono destinati a salire nel breve periodo, quindi godiamoci questo momento ed incrociamo le dita coscienti dei pericoli che aleggiano sulle nostre finanze.

Inoltre, che cosa succederà al termine delle politiche espansive delle Banche centrali se la ripresa dei consumi non ci sarà stata? Tecnicamente si parlerebbe di una maxi-bolla dei prezzi che se non sostenuta da nuova “droga” monetaria provocherebbe una caduta dei prezzi su livelli delle reali condizioni del mercato.

Di contro, una ripresa di inflazione, consumi quindi una ripresa dell’economia potrebbe gettare le basi per un futuro all’insegna di serenità finanziaria, humus necessario a consentire ai governi europei più indebitati come l’Italia di alleggerire il debito pubblico ad oggi su livelli di insostenibilità.

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